umberto
FAINI
opere figurative
Dal
28 ottobre al 20 novembre 2021
Inaugurazione
giovedì 28 ottobre dalle 15 alle 20
Ore 18 presentazione della mostra e del catalogo monografico
La mostra antologica illustra, attraverso l’esposizione di oltre
quaranta dipinti, il percorso artistico di Umberto Faini dagli anni ’60
ad oggi. Un intenso e articolato racconto per immagini su base
cronologica, ma dove le opere sono esposte per temi. Un percorso in cui
sono posti in evidenza alcuni aspetti significativi della sua ricerca
artistica nell’ambito della figurazione.
Chi ha paura del figurativo?
Introduzione di UMBERTO FAINI
al catalogo monografico
Le varie stagioni passano, e non sempre in un ordine progressivo.
Spesso, anzi, confondendosi,sovrapponendosi e alternandosi. Si sa, le
stagioni non sono che suddivisioni convenzionali, perciò è comprensibile
che ad un superficiale sguardo possa risultare più semplice usare
etichette sbrigative che entrare con viva curiosità nelle complessità di
certi percorsi.
Molti sono i percorsi, i temi e i generi della pittura. Dalla figura
alla natura morta, dal paesaggio alla grande composizione con figure,
fino al piccolo formato, non solo inteso come schizzo preparatorio, ma
anche come opera autonoma da osservare dalla stessa distanza da cui è
stata fatta.
In questa raccolta, dopo un accenno al disegno, attività molto
praticata, la pittura inizia con un piccolo quadro giovanile per poi
proseguire con opere che si ispirano alla realtà contadina. Poi, nel
filone del realismo, i lavoratori delle autostrade con le loro giubbe
“optical”, opere di cui una è vincitrice di un Premio Suzzara.
La nostalgia per le grandi composizioni con figure è rappresentata
dall’affresco di Arcumeggia eseguito con quella adesione alla antica
tecnica che gli permetterà di resistere a lungo. Quindi, da altre
composizioni con figure tra cui un “arazzo dipinto” ricco delle
raffigurazioni decorative tipiche dello storico genere.
Del periodo dell’arte come impegno critico nei confronti della società è
presente, a testimonianza del consumismo antiecologico, una ironica
apoteosi con una coppia di lavatori di auto che felici assurgono in
cielo. Sul tema dei cavalli, oltre i due dipinti murali, vi sono varie
opere di piccolo formato eseguite dal vivo. I paesaggi: colline,
nevicate, mari ecc…salvo una primavera fiabesca e un vigneto infinito,
sono tutti eseguiti ad olio, sul luogo, sia in grande che in piccolo
formato. Quindi varie opere di fiori e frutti coi loro succosi
cromatismi naturali.
Dopo una serie di vivi ritratti vi sono alcune vaghe simbologie sul
tempo, l’infinito e cose di questo genere, che hanno stimolato una più
oggettiva e nitida esecuzione. Inoltre qualche sguardo agli stessi mezzi
della pittura: dagli strumenti materiali, come il cavalletto, i
pennelli, la tavolozza a quelli lessicali come il colore, il segno e le
misteriose iridescenze, come quelle dei CD catturate con lo stesso
stupore con cui gli antichi guardavano i riflessi del rame, dei
cristalli e dei tessuti.
Si prosegue, poi, prendendo spunto dai colori di una vellutata pesca,
per una indagine sull’uso del colore puro nelle sue graduali mutazioni.
Infine il quadro “l’arte e il vero” dove anziché essere un particolare
dell’arte a confermare il vero è un particolare del vero a confermare
l’arte.
Si conclude con un “oltremare” che rappresenta sé stesso nelle sue
variabilità. Quasi come un accenno ad un nuovo percorso dove i colori,
con le loro vicende, potrebbero essere considerati, essi stessi “figure”
della realtà. Dalla realtà e dal suo racconto la rappresentazione
diventa immagine, così come l’immaginazione può diventare realtà.
C’è chi inorridisce se in un quadro si intravede qualche riferimento al
reale perché lo considera roba sorpassata e c’è chi nel quadro cerca
solo ciò che non capisce per sentirsi, più intelligente. E c’è anche chi
accusa alcuni artisti di essere discontinui e contraddittori
dimenticando che l’arte stessa è discontinua e contraddittoria. Come,
del resto, lo è la vita.
Opere figurative
Quasi un gesto di anticonformismo verso i tanti pregiudizi che oggi
riguardano la pittura di immagini.
Figura e figurazione
“Che me ne faccio di un libro senza
figure”? (Alice).
“Si vede che quella vocina me la sono figurata io”.(Geppetto).
Fare bella figura. Fare brutta figura. Figuriamoci!
La morte tende alla astrazione. La vita è decisamente più
figurativa.
Dalle
pitture rupestri in poi l’umanità ha sempre raffigurato.
Chi ha paura dell’“arte figurativa”?
Umberto Faini
è nato nel 1933 a Milano. Durante la guerra, per fuggire ai
bombardamenti sulla città, si trasferisce con la famiglia dai parenti,
in campagna, tra le colline di Desenzano. Ritornato a Milano frequenta
la Scuola serale del Castello. Più tardi, negli anni cinquanta, con gli
amici Dimitri Plescan, Enzo Mari e Bepi Romagnoni decide di fare l’esame
di ammissione all’Accademia di Brera, frequenta per un paio d’anni il
corso di Pittura di Aldo Carpi poi, dopo una interruzione, si iscrive a
Scenografia, e successivamente al corso di Decorazione con Gianfilippo
Usellini.
Durante gli anni apprende i procedimenti e le tecniche anche lavorando
con pittori e decoratori abili nella pittura parietale, come Attilio
Alfieri ed altri, realizzando opere da bozzetti di grafici come Carboni,
Grignani, Max Hubert, i fratelli Castiglioni…
Scrive Faini... “ricordo che aiutai, su e giù dal ponteggio,
anche il pittore Del Bon per l’esecuzione di una sua opera all’ingresso
della IX Triennale del ’51. Per un certo periodo collaborai anche con
Enzo Mari.
Il clima artistico vissuto nel periodo della Scuola di Aldo Carpi era
caratterizzato da un acceso dibattito tra astrattismo e realismo, tra il
desiderio di sperimentare ogni via possibile e la volontà di
testimoniare, anche in pittura, un impegno critico nei confronti degli
amari aspetti della realtà. Si lavorava, oltre che con la modella, anche
su temi di nature morte, figure e paesaggi di periferie. L’atmosfera,
anche culturale dell’aula avvolgeva il tutto in una luce pittoricamente
tonale e assorta.
Da qui gli interni-esterni dai toni monocromi, le figure meste e le
periferie desolate. Una pittura che si esprimeva con una materia aspra
dai toni grigi che sarebbe poi stata chiamata realismo esistenziale”.
Dopo quel periodo ho seguito una mia vena, quasi controcorrente, legata
ai temi della realtà contadina della mia infanzia. In seguito, per un
mio interesse verso gli aspetti tecnici e lessicali della pittura ho
cominciato ad approfondire una indagine sul rapporto segno-colore nella
variabilità della luce.
Dopo essere stato invitato a seguire il corso di affresco tenuto da
Usellini ad Arcumeggia, (quando si tentò di rivalutare questa antica
tecnica), fui chiamato ad assistere il Carpi nell’esecuzione del suo
affresco. Poi fui invitato a realizzare una mia opera in tale tecnica.
In seguito ho realizzato anche le vetrate e un affresco per la chiesa di
Chiessi all’isola d’Elba e il portale in bronzo per la chiesa di Porto
Azzurro.
Dopo l’insegnamento al Liceo Artistico fui chiamato ad insegnare nella
nascente Nuova Accademia di Belle Arti (NABA) e poi nella storica
Accademia Carrara Di Bergamo.
Del clima di Brera ricordo che tra il realismo, più o meno esistenziale,
l’astrattismo, più o meno informale e l’arte, più o meno programmata,
tutti cercavano una loro via originale dai significati più o meno
chiari. E c’era anche chi cercava gesti più o meno dissacranti e
provocatori come il mio coetaneo Piero Manzoni col suo estremo
sberleffo.
Prima di frequentare le scuole avevo cominciato a dipingere tra le
colline e il lago, quando il lago sembrava il mare. Dipingevo allora non
conoscendo i ”sistemi dell’arte”. A volte mi sono trovato ancora col
cavalletto, tra le colline, pur conoscendoli bene”.