La Galleria Ponte Rosso inaugura la mostra
personale di PAOLO PARADISO Homeward Bound.
Perché Homeward Bound? Il titolo racconta in sintesi del ritorno,
dopo la precedente mostra presentata dall'artista nel 2018 dedicata
interamente a Venezia ("Un anno a Venezia"), al suo tema
preferito di sempre; l'America degli anni '50/'60 e in particolare
alla "sua" città, New York. In questa nuova mostra
l'artista presenta oltre venticinque nuovi dipinti di grande formato,
tutti inediti, realizzati nel 2018/2019.
L'America di Paolo Paradiso di ANDREA
BOSCO
"Ammalarsi di America. Per comprendere i
sentimenti di Paolo Paradiso nei confronti degli Stati Uniti, tra
amore e ammirazione, tra realtà e sogno, le parole di Mario Soldati
in "America primo amore" appaiono illuminanti. Scrive
Soldati: "L'America non è soltanto una parte del mondo.
L'America è uno stato d'animo, una passione. E qualunque europeo
può, da un momento all'altro, ammalarsi di America". E' una
lunga storia quella tra Italia e America. Iniziata con Colombo e poi
con i Castiglioni, gli Arese, i Vigna del Ferro. Italiani che andavano
oltre l'oceano a scoprire le città che si stavano sviluppando, i
pellerossa che stavano scomparendo, quel mondo in perenne movimento da
Est verso Ovest, ballonzolante sulle rotaie della Grande Ferrovia.
Alla fine della seconda guerra mondiale, l'America si consacrò
"Impero irresistibile", come ha scritto in un bel saggio
Victoria De Grazia. La società dei consumi americana, alla conquista
del mondo. I soldati americani avevano portato in Europa i jeans (tela
inventata in Liguria) e diventati in breve simbolo di trasgressione e
virilità. Avevano portato le "americane": sigarette dal
sapore deciso. Avevano portato gli Zippo, accendini sui quali "si
poteva cucinare un uovo". Avevano portato la Coca Cola: bevanda
dalla formula mai svelata che avrebbe colonizzato il pianeta. Scrisse
Howard Whidden corrispondente del Business Week che "un aumento
improvviso dei consumi personali rese evidente che il consumatore dopo
essere stato trascurato a lungo, avrebbe rivestito un ruolo sempre
più importante nell'economia europea". Quello che fu chiamato il
"mercato monoclasse". E che coincise con "l'invenzione
dei giovani". Spiega nel suo celebre saggio Jon Savage in quale
modo alla fine del 1944 la direttrice del giornale di un liceo di
Moline, nell'Illinois risolvesse il problema dell'alcolismo che
dilagava nella sua città tra gli adolescenti. Ruth Clifton aveva
fatto ripristinare un vecchio magazzino, riempendolo di ragazzi,
fotografati mentre bevevano Coca Cola. La didascalia che accompagnava
il servizio, recitava: "La giovane America conosce i suoi
problemi. E li risolverà se gliene sarà data l'occasione".
L'America di Paolo Paradiso è quella degli Anni Cinquanta che, spiega
l'artista, "durarono troppo poco". E' l'America che coincide
con New York. Con le grandi strade e i grandi grattacieli. Con Central
Park. E' la New York che espone a Broadway la pubblicità luminosa
delle sue pieces teatrali e dei suoi film. E' l'America del Village e
di Washington Square luogo immortalato dal banjo dixie dei "The
Village Stompers". Il Greenwich Village, dove accanto alla statua
di George Washington puoi trovare anche quella di Giuseppe Garibaldi.
L'America che Paradiso ama è quella delle Buick Special e delle
Chevrolet Bel Air dalle scintillanti lamiere e dai paraurti cromati. E
non importa che Mignon Mc Laughlin abbia scritto che "un'auto è
inutile a New York". La Mela ha i suoi riti. E le automobili sono
al vertice della ritualità. A cominciare da quegli yellow cab entrati
prepotentemente, assieme alle auto della Polizia, nelle pagine della
letteratura. Quella di Salinger, con il suo maldestro Holden. Quella
di Truman Capote con la sua inarrivabile Holly Golightly. Che avrebbe
dovuto essere Marylin, ma che per fortuna fu Audrey. "Colazione
da Tiffany": etichetta di un mondo destinato a diventare mito.
L'America di Grace Metelious con i suoi "Peccatori". E di
Sloan Wilson con "Scandalo al sole". Con il viso della
ragazza della porta accanto, Sandra Dee. E i pullover color pastello
di Troy Donahue. Con la musica di Percy Faith. L'America dei Drive In
e delle pompe di benzina. Dei film di fantascienza. Dove ogni
"Pianeta" era "proibito". Delle finestre di Hopper
quando gli Americans non ancora graffiti erano quotidiana attualità.
Una stagione nella quale Doris Day era la "fidanzata
d'America". Le vite potevano essere televisivamente da
"Strega". Le agenzie pubblicitarie ti potevano convincere
che la Pan Am fosse la migliore compagnia aerea del mondo. Hollywood
ti spiegava che i "nostri" erano sempre e solo i buoni. E
che lo stile di vita americano, con le sue fantastiche cucine, i suoi
elettro-domestici d'avanguardia, i suoi primi televisori, era anche
l'unico meritevole di essere inseguito. Era tutto bello? No: Sinatra e
Dean Martin e gli altri del Rat Pack di Las Vegas, fecero l'inferno
quando scoprirono che gli artisti di colore dovevano entrare in scena
passando dalle cucine. Che se eri nero, dovevi dormire alla periferia
della città, stante il divieto di alloggiare negli hotel-casino del
centro. C'era il razzismo in quella America. E c'era il terrore della
"bomba". C'era la "caccia alle streghe": con
artisti e letterati epurati perché in odore di comunismo. La New York
di Paolo Paradiso visita luoghi reali ampiamente modificati dalle
esigenze pittoriche dell'artista. E' la "sua" atmosfera
americana: foto-realistica. Benché meno dettagliata rispetto alle
precedenti produzioni. Una assunzione di matericità che rappresenta
la sintesi del suo lungo percorso emotivo. La luce e le ombre, i
riflessi. La pioggia e un pathos rarefatto, quasi antitetico, al
monumentalismo dei grattacieli. Gli uomini camminano senza volto
accanto alle automobili: prodigi di un design che interpretava il
benessere americano. Guido Piovene nel suo "De America"
spiega che in fondo ogni europeo che arriva a New York, ha una
preesistente "idea" di quanto troverà. Istruito dai film,
dalle foto in bianco e nero dei grandi fotografi occidentali, da
millanta pubblicità. Ogni europeo, sbarcando a New York, trova
facilmente "conferme" a ciò che si aspettava di trovare. La
"comunicazione" Usa lo ha reso preventivamente
"americano". Ben prima di attendere i bagagli sui nastri
trasportatori del La Guardia. La mostra di Paolo Paradiso si intitola
"Homeward Bound": il titolo di un brano di Simon &
Garfunkel che evoca "il ritorno a casa". Desiderio che in
fondo coincide con quello del "buon tempo antico". Paolo
Paradiso è "tornato a casa", a New York, per dipingere
ancora una volta la città che ama. La città che ha saputo dettare la
sua ispirazione, coinvolgendolo. Scrive Piovene: "Il sogno di
tutta l'America è quello di tornare indietro con gli anni: il sogno
del grembo materno". La nostalgia del passato è universale, come
insegna Proust. Ma quella per il "secolo americano", meglio
ancora per quel "decennio americano" collocato tra gli anni
Cinquanta e gli anni Sessanta è nostalgia trasversale.
Elvis "vive" ancora in ogni angolo del pianeta. Holden è
stato tradotto in cinquanta diverse lingue. Hemingway è una icona
"maledetta" della letteratura mondiale. La Thunderbird
cabriolet ha segnato la storia automobilistica statunitense. Marylin
vestita di bianco e con la gonna al vento rappresenta New York più
della "lattina" pop di Andy Warhol. Paolo Paradiso nelle
trenta opere esposte alla "Ponte Rosso" (con qualche
ambientazione estiva in Florida e California) è testimone di un mondo
amato e sognato. Il desiderio di Alberto Sordi "americano a
Roma" di andare nel "Kansas City". Di bere acqua da un
contenitore piuttosto che dal rubinetto di casa. Di calzare Converse
All Star piuttosto che scarpe da ginnastica fabbricate a Vigevano. Di
cavalcare una Harley, piuttosto che una Guzzi. E' l'America che nella
stagione cara a Paradiso, profumava di favola. La fiaba dei
"Giorni felici". Dove i bulli come Fonzie avevano il cuore
d'oro. E le famiglie Cunnigham dispensavano buon senso. Perché, come
ha scritto l'americana Mary McCarthy: Il lieto fine è la nostra fede
nazionale."
Paolo Paradiso è nato a Milano.
Intraprende studi di grafica pubblicitaria ma si dedica
contemporaneamente alla pittura, di cui è appassionato da sempre. Nel
1978 apre un suo studio fotografico e collabora con riviste di moda e
studi pubblicitari. Nel 1983 decide di trasferirsi a Chicago. Durante
quel periodo la pittura diviene la sua attività prevalente e nel 2003
espone la sua produzione alla Michael H. Lord Gallery of Chicago. Nel
2004 ritorna a Milano e vince il "Premio di Pittura Carlo Dalla
Zorza" organizzato dalla Galleria Ponte Rosso che da allora lo
rappresenta. Le esposizioni di Paradiso hanno riscontrato, in questi
anni, un continuo e crescente successo. Attualmente vive tra Milano,
Parigi e Barcellona.